Il
sole bruciava l’asfalto lucido della strada. La gente si accalcava sotto i
tendoni per esaminare la merce e per sfuggire a quell’insopportabile calura.
Passeggiavo
lentamente per non accaldarmi troppo e mi voltavo ogni tanto ad ammirare
qualche bella ragazza in minigonna. Sergio non si vedeva ed io bollivo dalla
rabbia oltre che per il calore. Se mi avesse restituito le tavole del mio
progetto la settimana scorsa, io non avrei perso tutto questo tempo e avrei
potuto consegnare il mio lavoro.
La
mia mente era affollata da tutti questi pensieri che neanche mi resi conto di
essermi avvicinato ad un bancone stracolmo di cianfrusaglie, per lo più vecchi
oggetti di nessun valore che la gente paga a caro prezzo.
Immediatamente
i miei occhi si posarono su di una graziosa statuetta verde. Raffigurava una
donna incantevole le cui linee sinuose la rendevano provocante e misteriosa.
Folti capelli le cadevano sulle spalle e unghie lunghissime le affusolavano le
dita.
Non
avevo mai visto una simile bellezza. Quell’armonia di forme, quei lineamenti
regolari e quella posa aggraziata mi folgorarono come non era accaduto mai. Non
riuscivo a staccarmi dai suoi occhi. Emanavano un’intensa luce che sembrava
provenire dall’interno della statua.
Rimasi
incantato per alcuni minuti senza rendermene conto, finché qualcuno mi toccò ad
una spalla:
“Ciao!”
Era
Sergio. Per un attimo rimasi senza parole, poi tornai in me.
“Oh,
ciao! Scusa, ero sovrappensiero.”, farfugliai.
“E’
molto che aspetti?”
“Ah,
già! Beh, …sì!”
“Scusa
per il ritardo. Ecco le tavole. Non so come avrei fatto senza. Se ti serve
qualcosa chiedi pure… Vuoi un passaggio fino a casa?”
“Oh,
no… grazie”, risposi, “ho qualche commissione da sbrigare”. Ci salutammo.
Non
appena Sergio si fu allontanato mi voltai di scatto verso la mia preziosa
statuetta.
Era
ancora lì, divina e conturbante.
“Quanto
costa?”, chiesi al commerciante.
“Duecentomila.
E’ una vera statuetta indiana.”
Mi
aveva talmente conquistato che l’avrei pagata molto di più. Senza pensarci due
volte, consegnai al tizio la somma e mi portai a casa la statuetta.
(2)
La
danzatrice indiana era entrata nella sala illuminata da mille fiaccole. Coperta
da veli che lasciavano trasparire le sue forme perfette, si muoveva al ritmo
lento di lontani tamburi, ondeggiando come una fragile barchetta ormeggiata nel
porto.
Le
sue spalle roteavano nell’aria e le esili braccia disegnavano figure
geometriche sullo sfondo purpureo di velluti pregiati. Il ritmo incalzava e i
movimenti divennero più frenetici e precisi.
La
danzatrice gettò lontano uno dei veli che la ricoprivano, s’inarcò all’indietro
mettendo in bella mostra l’ombelico e, ondeggiando come un serpente, volò
acrobaticamente in aria, tra i fumi d’incenso che riempivano la sala.
Il
ritmo lentamente si placò e i grandi occhi neri dell’indiana fissarono
intensamente la luce di quelle fiaccole, imploravano pietà al dio Suono,
volevano ancora danzare…
E i
tamburi ripresero a rullare più veloci di prima. Uno dopo l’altro i veli
cominciarono a librare nell’aria, rivelando un corpo stupendo prigioniero del
ritmo e della bellezza.
La
danzatrice si rivelò dea.
(3)
“Che
cosa ha detto?”, risposi al telefono.
“Ho detto
che la sua statuetta rosa non mi piace…”
“Come
sarebbe a dire la mia statuetta rosa?”
“Sì,
quella che lei ha comprato ultimamente… ha qualcosa… qualcosa di strano, ecco!”
La
signora Nadia è una brava persona. Viene due volte alla settimana nel mio appartamento
per riordinare e fare le pulizie. Ma questa volta aveva superato se stessa:
quale statuetta rosa? Quella che
avevo comprato era verde!
Rincasai
tardi con ancora questo pensiero in mente. Durante questi giorni la mia
attrazione per quello stupendo oggetto non aveva fatto altro che aumentare. Non
la consideravo soltanto una statua. Era per me un simbolo, qualcosa di etereo e
immortale da cui lasciarsi guidare ciecamente.
La
amavo in una maniera molto particolare, come si trattasse di un idolo. Rappresentava
l’essenza della femminilità e del piacere, la libertà di abbandonarsi a
sfrenate passioni nel tentativo di raggiungere la più completa maturità, il
puro piacere di vivere.
Accesi
la luce e la vidi al centro del mio ampio soggiorno.
La
guardai come se fosse la prima volta: era davvero rosa! Un rosa pallido e
delicato. In questi giorni non ci avevo neppure fatto caso, tanto il
cambiamento era stato lento. Indubbiamente Nadia aveva ragione.
Nel
tentativo di spiegare un simile fenomeno, mi chiesi per la prima volta di che
materiale poteva essere fatta. Mi avvicinai per toccarla.
Le
mie dita sfioravano quelle gambe snelle e delicate e nella mia mente
affioravano ricordi e sensazioni. Provano uno strano piacere ad accarezzarla,
un misto di gioia e di sofferenza che non riuscivo a spiegare. Era liscia e
morbida al tatto. Non assomigliava a niente che avessi mai visto o toccato
prima d’ora.
All’improvviso
provai un acuto dolore alla testa. Portai le mani alle tempie nel tentativo di
lenire quel male e mi affrettai a stendermi sul divano.
Quel
giorno avevo decisamente lavorato troppo. Avevo proprio bisogno di una bella
dormita. Mi recai a letto, tentando di dimenticare tutto e tutti. Nonostante
ciò non riuscivo a prendere sonno, mi divincolavo in preda a mille pensieri. Da
dove veniva quella statua? Era veramente indiana? Perché aveva cambiato colore?
E se venisse dallo spazio, testimone di qualche lontana civiltà?
Poi,
finalmente, arrivò il sonno ristoratore.
(4)
La
danzatrice indiana scandiva lentamente le note di una nenia popolare. Le sue
labbra carnose erano sensibilissime ad ogni più piccola variazione di tono e
sembravano vibrare come animate da un flebile alito di vento.
Si
alzò in piedi cominciando a fluttuare nell’aria, avvicinandosi verso di me come
trasportata da un’invisibile corrente.
Solo
in quel momento mi accorsi di essere legato. Mi trovavo al centro di un immenso
salone, immobilizzato su di un altare di pietra. Attorno a me dodici sacerdoti
intonavano un lugubre inno.
Inutilmente
mi divincolavo lacerando i vestiti nel tentativo di liberarmi.
L’inno
si faceva ogni attimo più insistente, mi entrava nelle orecchie, mi rompeva i
timpani, mentre la danzatrice indiana, instancabile come sempre,
forsennatamente piroettava in preda alla più completa euforia. Poi tutto
tacque. Finalmente respirai per qualche secondo, rilasciando i muscoli e
socchiudendo gli occhi.
All’improvviso
i sacerdoti alzarono le braccia in alto mormorando parole incomprensibili,
mentre qualcuno si avvicinava al mio altare. Il suo volto era coperto da una
maschera che raffigurava minacciosamente un toro. Con gesti lenti e aggraziati
si tolse la maschera…
La
mia gioia nel vedere il volto della danzatrice fu immediatamente spenta dal
kryss che notai nella sua mano.
Come poteva
una creatura così dolce macchiarsi di un così orrendo delitto?
Alzò
le braccia verso l’alto, brandendo quella lama ricurva e affilatissima verso di
me, mentre gli altri sacerdoti ripresero quel canto odioso e martellante.
Pian
piano avvicinò la lama al mio torace…
(5)
Nel
mio cuore non c’era più posto per nient’altro. Mi sentivo irresistibilmente
attratto da lei, dal suo corpo invitante e da quel sorriso appena accennato.
I
suoi occhi mi fissavano come se fossero vivi e adoravo trascorrere il tempo
ricambiando quello sguardo malizioso. La guardavo per ore, come fosse uno
spettacolo di varietà e, francamente, il suo corpo era davvero uno spettacolo!
Mi
avvicinano a lei come un ago attratto da una calamità. Mi chiedevo quali forze
mi chiamassero al suo cospetto e quali magiche dita potessero aver plasmato una
simile perfezione.
Notai
con sgomento che la piccola statuetta indiana, per giunta verde, non esisteva
più… Davanti a me si ergeva una statua alta più di un metro e mi rifiutavo di
pensare a cosa poteva essere successo.
Erano
diversi giorni che mi assentavo dal lavoro e Nadia era a casa a letto con la
febbre.
Povera
Nadia! Mai stata malata prima d’ora! Le erano venute delle strane idee, se la
prendeva persino con la mia statua!
Come
può la bellezza essere malvagia? Può forse l’arte uccidere?
Mi
voltai ad ammirare ancora il suo etereo candore, alla ricerca di una risposta.
Sembrava così fragile… e nello stesso tempo indistruttibile, indifesa e
micidiale!
In
quel momento ebbi un altro di quegli attacchi. Nella mia testa c’era come un
forte ronzio che minacciava di spaccarmi in due.
Mi
recai a tentoni nel bagno. Allo specchio vidi il mio volto come per la prima
volta. Non mi riconoscevo più: ero pallido e gelato, due fossette mi scavavano
il viso segnato dalle rughe.
Quel
dannato mal di testa mi stava facendo uscire di senno. Cosa mi stava capitando?
Pensai
per un momento che Nadia potesse avere ragione e che la statuetta fosse la
causa di tutto. Ma quest’idea sembrava così assurda che la allontanai con
rabbia.
Era
anche vero, però, che aveva cambiato inspiegabilmente colore e stava crescendo
sempre più in fretta. Forse assorbiva energia dal mio corpo! Forse era viva!
Quel
pensiero mi spaventava e, nello stesso tempo, mi affascinava sempre di più. Sognavo
di abbracciare la mia statua, di comunicare con lei... anche se mi rendevo
conto che stava facendomi del male...
C’è una Dea che ride fra i damascati drappi
dell’altare, fra gli incensi e i gran calici d’oro; una Dea che si risveglia da
un sonno secolare…
Il
mio incubo cominciò quando la vidi muoversi per la prima volta. Spostò
lentamente il braccio indicando verso di me.
Per
un attimo non riuscii a proferire parola: rimasi incantato a guardarla
chiedendomi se quanto avevo visto fosse reale o meno.
Quell’indice
puntato era la prova che l’essere che avevo davanti era molto più di una
statua, ma non avevo la più pallida idea di che diavolo fosse.
Quel
senso di meraviglia mi stava a poco a poco abbandonando, lasciando il posto ad
una ben più profonda sensazione di incertezza.
Che
cosa stava succedendo? Gli eventi si susseguivano così rapidi che non riuscivo
più a controllarli e i miei mal di testa capitavano sempre più di frequente.
La guardai
mentre continuava a muovere le braccia e contemporaneamente ruotava la testa
con scatti brevi e precisi.
Mi
resi conto che la mia volontà era completamente annullata dalla sua forza. Non
potevo più agire, non potevo più ribellarmi. Mi aveva in pugno. Aveva
conquistato il mio cuore e la mia mente.
Con
tutte le mie forze tentai di allontanarmi per sottrarmi alla sua influenza, ma
i suoi occhi mi catturavano ancora, implacabili e micidiali.
Ero
un bagno di sudore. Voleva impadronirsi di me, del mio corpo. Sentivo come se
il mio fluido vitale mi abbandonasse, risucchiato da quell'essere
sovrannaturale. La sua sete era davvero insaziabile e immonda.
Mi
accasciai sul pavimento senza forze e spaventato a morte. Cercai di rialzarmi
aggrappandomi alla maniglia della porta.
In
quel momento la statua scese dal piedistallo e cominciò a muoversi per la
stanza, lentamente…, come volesse prendere confidenza con il nuovo mondo.
La
guardai atterrito e lei mi fissò.
Era
lei! Che stupido sono stato! Come ho fatto a non riconoscerla subito? Era la
danzatrice indiana!
Come
se avesse capito che io l’avevo riconosciuta cominciò a danzare sinuosa e
invitante.
Fui
attratto irresistibilmente dalla sua bellezza, ma cercai di non cedere, lottai
con tutta la forza che avevo in corpo, ma come potevo sperare di vincere una
dea!
Mi
guardò come se mi disprezzasse. Aveva capito di avermi soggiogato, ormai ero in
suo potere, in suo completo dominio. La mia era una lenta agonia, combattuto
tra il desiderio di possederla e il disperato tentativo di sfuggirle.
La
danzatrice si rivelò nelle sue vere sembianze. Aveva quattro braccia che
serpeggiavano avanti e indietro e fauci mostruose da fiera, ma la sua
femminilità ne usciva intatta. I suoi occhi ardevano come fornaci e le sue
labbra emanavano strane e potenti vibrazioni.
La
dea Kali voleva il mio sangue, si era risvegliata dalle profondità degli Inferi
per tornare a regnare sulla Terra.
Quel
che era peggio è che io ero l’artefice del suo ritorno. Io l’avevo riportata a
nuova luce…
Alzai
di nuovo lo sguardo e la vidi immobile. In una della quattro mani brandiva
minacciosamente il suo kryss.
Mi
alzai in piedi usando un ultimo briciolo di forze…
La
Dea si avvicinò a me… piano, quasi non volesse farmi del male… - oh,
sanguinaria Kali -… mi baciò e delicatamente mi strinse in un ultimo, amaro
abbraccio mortale…